Progetto: Matteotti e gli altri
Podcast: Rivoluzionari
Calssificazione: Contenuti adatti a tutti
Stagione: 3
Numero dell’episodio: 10
Tipo di episodio : Completo
Episodio 1 | Episodio 2 | Episodio 3 | Episodio 4 | Episodio 5 | Episodio 6 | Episodio 7 | Episodio 8 | Episodio 9 | Episodio 10 | Episodio 11 | Episodio 12
Anna Kuliscioff e Filippo Turati sono tra i fondatori del Partito Socialista Italiano e si possono considerare, con Claudio Treves e Giuseppe Emanuele Modigliani, i leader del socialismo riformista. In questa intervista “tripla” si affrontano i loro rapporti con Giacomo Matteotti e rispettive priorità politiche.
Podcast realizzato da FIAP con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione Anniversari Nazionali ed eventi sportivi nazionali ed internazionali. Scritto dagli storici Andrea Castagna e Giovanni Scirocco, sceneggiato da Donatella Fiorella e Andrea Ricciardi; narrato da Edoardo Mininni, Vittorio Tosi, Donatella Fiorella e Dario di Stano; con la produzione di Gabriele Beretta.
Giacomo Matteotti, Filippo Turati e Anna Kuliscioff
«La neutralità assoluta, la neutralità a qualunque costo»
Giacomo Matteotti è ritenuto, giustamente, uno dei protagonisti del riformismo socialista italiano. Ma ciò non impedì alcuni momenti di tensione, e anche di crisi, con il Partito e anche con gli altri leader riformisti, Anna Kuliscioff e Filippo Turati compresi.
Come ha scritto recentemente Enzo Fimiani, «l’ala del Psi nella quale più o meno si colloca è quella riformista. Ne sarà sempre un rappresentante piuttosto critico, per molti versi eterodosso, mai inscatolabile in rigide classificazioni politiche o nella piccineria delle correnti: una cifra etico-politica che connoterà l’intera sua esistenza pubblica»1.
Ad esempio, di fronte allo scoppio della prima guerra mondiale, in un Partito socialista apparentemente unito sulla linea del neutralismo, ma in realtà diviso, tatticamente e strategicamente, tra le sue varie anime (intransigenti e riformisti, Direzione, gruppo parlamentare e sindacalisti), la posizione di Matteotti fu sempre molto chiara e coerente, portandolo a distinguersi, nella sua intransigenza, da Turati e da buona parte degli altri riformisti, temendo soprattutto gli effetti negativi che gli esiti del conflitto avrebbero avuto sul movimento socialista, sul contesto internazionale e su una nazione fragile come l’Italia.
Già nel settembre 1914, scrivendo alla futura moglie Velia, mostrava tutto il suo orrore per il massacro che si stava compiendo: «Sono preoccupato assai in questi giorni della possibilità che anche l’Italia entri in guerra; e sto esaminando e discutendo se piuttosto non ci convenga allora provocare un’insurrezione […]. Il pensiero di coloro che stanno uccidendosi è terribile; e mi par giusta l’insurrezione se si volesse domani con assai poca lealtà lanciarci in una guerra contro l’Austria. Ma tira vento di piccole viltà, anche nel mio partito»2.
Così quando, il 2 ottobre 1914, nella seduta del consiglio provinciale di Rovigo, si discusse un ordine del giorno neutralista presentato dal socialista Dante Gallani e il radicale Cattani propose di aggiungere la formula « salvaguardando l’integrità e la dignità della patria», Matteotti si oppose sostenendo la necessità della «neutralità assoluta, la neutralità a qualunque costo». 3
Pochi giorni dopo esponeva sul giornale dei socialisti del Polesine le ragioni morali e politiche del suo atteggiamento:
Perciò quando la classe borghesia viene davanti ai lavoratori e li invita ad entrare nei propri eserciti armati per la difesa della patria, noi gridiamo “abbasso il militarismo”, perché la borghesia vuol preparare soltanto il trionfo di questo che è essenzialmente nemico della libertà e della giustizia; vuole soltanto il dominio proprio sostituito a quello di un’altra borghesia. Quando la classe borghese parla di invasioni e minacce della patria, noi gridiamo “abbasso la vostra patria”, poiché la storia dimostra nulla esservi di più facile che la finzione di assaliti quando si è assalitori, di invasi quando si vuol invadere 4
Matteotti e Mussolini
Tanto più forte e convinta, ma anche conscia dei danni che aveva provocato, doveva quindi essere la critica di Matteotti al repentino cambiamento di Mussolini e al suo passaggio dalla neutralità “assoluta” a quella “attiva operante”, prodromo di altri e ancor più definitivi cambiamenti di campo. Già da questo momento, un abisso separava la concezione della politica di Matteotti da quella del futuro duce, il riformista intransigente dal rivoluzionario parolaio:
Non si meraviglia chi sa come molti di questi così detti rivoluzionari non siano altro che degli impulsivi momentanei, dei letterati della politica, capaci di porre come dogma assoluto per ogni luogo e tempo quello che dieci minuti dopo rinnegheranno. Purtroppo l’educazione politica è ancora mito. E la folla preferisce innamorarsi dei Mussolini, perché trinciano l’aria col taglio più netto 5
Anche in caso di sconfitta l’opposizione socialista alla guerra non sarebbe stata comunque, per Matteotti, una posizione solo ideale e quindi politicamente sterile:
Noi dobbiamo essere oggi contro la guerra, magari anche inutilmente, purché domani sia possibile avere un proletariato educato all’avversione più irreducibile contro la guerra […]. Noi non neghiamo l’esistenza della patria, ma non è essa la nostra idealità; un’altra e più alta assai è la nostra aspirazione 6
La guerra
La guerra si avvicinava sempre più velocemente anche per l’Italia. Matteotti avvertì il pericolo, il montare della marea interventista, la debolezza della risposta socialista, che lo spinse addirittura alla polemica contro il suo riconosciuto maestro, Filippo Turati, nella coscienza dell’impopolarità della sua presa di posizione:
È permesso affermarsi recisamente, assolutamente neutralisti senza essere dei “sentimentalisti”, senza diventare “temerariamente demagoghi”, senza sentirsi dire (non dico senza essere) imbecilli? È permesso indicare al nostro Partito il dovere di opporsi con tutte le armi possibili all’intervento, senza confondersi né con i miracolisti anarcoidi, né con i dogmatici che segnano sempre il passo sullo stesso piede di terreno? A Filippo Turati, a troppi altri, pare di no. A noi umilmente, sembra che sì 7
Ciò non significava, per Matteotti, invocare, la diserzione o l’insubordinazione, ma piuttosto, da riformisti per i quali centrale era la “pedagogia della politica”, preparare nuovi tempi e rinnovati stati d’animo, migliori condizioni di vita e di sviluppo, in Italia e in Europa. Esisteva dunque una sola strada da percorrere:
Da buon riformista, io non ho mai negato le possibilità e necessità rivoluzionarie. Non già quelle che dovrebbero di punto in bianco sostituire il mondo socialista al mondo capitalista, o il mondo dei buoni a quello dei cattivi; ma quelle certamente che ci fanno evitare un maggior male, e che mirano a sbarazzare il terreno del progresso sociale da alcuni particolari ostacoli, da alcune particolari croste, che resistono sebbene al di qua o al di sotto si sia formata una gran forza opposta; e occorre lo scoppio di violenza. Così ieri per ottenere le libertà statutarie. Così domani contro il militarismo. Né per queste azioni singolari occorre avere per sé la maggioranza, o aver pienamente formata una coscienza, una educazione socialista. Un milione di proletari organizzati nell’Italia settentrionale sono sufficienti a far riflettere qualsiasi governo sulla opportunità di aprire una guerra 8
Già da questo momento, e pur rendendosi conto di tutte le difficoltà della battaglia politica che prospettava, Matteotti era però certo che l’allora ipotetica vittoria della Triplice Intesa contro gli Imperi centrali avrebbe aperto nuovi problemi: «La vittoria della Triplice intesa preparerebbe inevitabilmente nuove guerre; il popolo tedesco non potrebbe non preparare la rivincita». 9
La reprimenda di Turati fu immediata e severa ((«Il Matteotti non ripudierebbe, contro il governo che intimasse la guerra, troverebbe anzi di suo perfetto gusto, e utilissimo all’avvenire dell’Internazionale, il gesto della ribellione. A patto – meno male – che esso sia reputato possibile dalla Direzione del Partito, che è l’organo competente a siffatte valutazioni» 10), ma non gli fece cambiare idea, anzi. Il 19 marzo 1915, prendendo la parola al consiglio provinciale di Rovigo, ribadiva: «Una cosa soltanto è da deplorare da parte nostra: che il proletariato e il Psi non sappiano in questo momento insorgere contro ogni guerra; perché soltanto così si preparerebbe la risurrezione dell’Internazionale, nella quale è la vera, l’unica libertà, del proletariato di tutte le patrie». Per questa ferma opposizione alla guerra, fu attaccato violentemente sul “Corriere del Polesine”, il giornale degli agrari locali e il 2 maggio 1915 un gruppo di studenti nazionalisti tentò di aggredirlo nella piazza centrale di Rovigo 11.
Il “maggio radioso”
Sono le giornate del “maggio radioso” che prepararono la manovra parlamentare, organizzata dal governo Salandra e dalla monarchia, necessaria per fiaccare le ultime resistenze dei liberali neutralisti alla Giolitti e dichiarare l’intervento. All’analisi degli eventi, Matteotti affiancò la convinzione che la guerra assumeva sempre di più il significato di una sconfitta storica per il proletariato e metteva a rischio la coesistenza pacifica dell’Europa anche negli anni a seguire : «Chiunque dei due grandi aggruppamenti dovesse vincere vi sarà un popolo vinto che preparerà la rivincita per domani e quindi nuove guerre, e vi saranno vincitori che domineranno su città, su campagne di nazionalità differente, con la scusa della civiltà superiore, con la scusa del confine da arrotondare, ecc.» 12
L’amarezza era molta, sia per il fatto in sé, sia per l’incapacità mostrata dai socialisti di impedire l’entrata in guerra, sia per il modo con cui si era giunti a questa decisione, con lo scatenamento della piazza, protagonista D’Annunzio, «il degno poeta d’Italia, quel piccolo mantenuto di donne, fuggito in Francia per debiti (…) Doveva finire così. Cioè doveva cominciare così: la povera bestia doveva andare al mattatoio gridando gioiosa, le bandierine multicolori infisse sul capo, e i battimani sollazzevoli della studentaglia in calzoni semicorti. Il teppista divenne eroe. Troppo debole è stato il proletariato» 13.
La condanna
Il suo impegno proseguì anche a guerra in corso. Il 5 luglio 1916 fu condannato a trenta giorni d’arresto con la condizionale per “pubbliche dichiarazioni disfattiste” a seguito di un intervento nel consiglio provinciale di Rovigo. Una testimonianza diretta del processo è nel rapporto del prefetto, che riportò le frasi pronunciate da Matteotti nella sua autodifesa: «Premettendo che una condanna gli avrebbe fatto onore e che è sempre fermo nei suoi princìpi internazionalisti contrari alla guerra, disse che le parole per cui viene oggi incriminato, ripetendosi le stesse condizioni di tempo e di luogo, egli le pronuncierà senza esitazioni; anzitutto perché esse non costituiscono reato, poi perché sono l’emanazione dei princìpi che professa» 14.
Già riformato e collocato in congedo illimitato, fu richiamato alle armi e posto sotto speciale vigilanza, prima a Cologna Veneta e poco dopo in Sicilia, dove resterà sino al marzo 1919, perché considerato dal Comando supremo un pericoloso sovversivo. Turati, in un’interrogazione al Ministro della Guerra, denunciò la sua sorte e quella di altri militanti socialisti «incorporati in compagnie riservate particolarmente ai soldati delinquenti» unicamente per aver compiuto legittimamente degli atti nell’esercizio delle loro pubbliche cariche 15.
Dopo Caporetto. Il fallimento della pace vittoriosa
Come scrisse Piero Gobetti, la protesta di Matteotti contro la guerra «non era disfattismo, ma un atto di fede ideale (…). Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo “sovversivismo”, le conseguenze dell’eresia e dell’impopolarità» 16. Ciò spiega anche perché, dopo Caporetto, non aderì al clima di “concordia nazionale”, sostenuto anche da Turati e da Treves guardando invece inizialmente con speranza alla rivoluzione sovietica e all’azione del presidente americano Wilson.
Soprattutto, la sua formazione economico-giuridica gli fece comprendere, con straordinaria lungimiranza, sulle orme del pamphlet di Keynes, Le conseguenze economiche della pace (anche se individuava, a differenza dell’economista inglese, la causa principale della guerra nell’azione delle forze capitalistiche in contrasto tra loro), gli effetti disastrosi che i trattati di pace avrebbero avuto sulla Germania di Weimar e sull’Europa tutta:
Gli egoismi patriottici e nazionalisti non consentiranno a togliere il piede dal collo dai popoli vinti militarmente o soggetti economicamente, se non forse quando l’abisso sarà irrimediabilmente aperto […]. E allora non v’è che il Socialismo; il quale purtroppo non innalzerà più il suo edificio, come una volta sperammo, sulla vetta fiorente del capitalismo giunto al massimo sviluppo della ricchezza; ma dovrà assumersi la duplice terribile impresa: di ricostruire la forza produttiva e di distribuire il bene a tutti coloro che lavorano 17
Come scrisse su “La Giustizia” del 9 dicembre 1922 (La questione delle riparazioni tedesche), le generazioni future avrebbero tentato infatti «con qualsiasi mezzo, anche colla guerra, di disimpegnarsi da obblighi iniqui e totalmente estranei alla loro mentalità», facile terreno per la propaganda antisocialista di nazionalisti e demagoghi di ogni risma.
L’impegno internazionalista
Il suo impegno internazionalista è incessante, anche dopo l’avvento del fascismo: nel febbraio 1923, da segretario del Psu, partecipò a Lille a una riunione con i segretari dei partiti socialisti di Francia, Belgio, Germania e Inghilterra redigendo un appello alla Società delle nazioni per la revisione delle condizioni economiche imposte alla Germania dai trattati di Versailles e per una cancellazione dei debiti di guerra. In preparazione del congresso di Amburgo (cui non potè partecipare per il ritiro del passaporto da parte del governo Mussolini), convocato nel maggio 1923 per la ricostituzione dell’Internazionale socialista, Matteotti collaborò inoltre alla stesura di un progetto per le riparazioni di guerra da sottoporre all’attenzione dei rispettivi governi.
Matteotti non ignorava la realtà geografica, storica, economica e politica della Nazione. Sapeva di dover fare i conti con essa, allo stesso modo che con l’assetto capitalistico dell’economia. Intendeva quindi operare per una pacifica convivenza tra le nazioni e per ottenere che l’internazionalismo, la solidarietà dei lavoratori organizzati, potesse impedire definitivamente lo scoppio di una guerra. Ma ciò escludeva «ogni complicità con gli opposti nazionalismi, e ogni adesione alla lotta tra i diversi capitalismi. Il nazionalismo infatti non si limita a promuovere lo sviluppo di una Nazione nella propria capacità di produzione o di cultura; ma assai più si fonda sulla forza materiale e sulle capacità di dominare altri popoli e di sfruttarli» 18.
Anche in questa lotta contro ogni nazionalismo e contro le sue retoriche, di cui intravedeva il pericolo nella nascente società di massa, Matteotti sarà coerente sino all’ultimo, scontrandosi con i suoi stessi compagni, a testimonianza dell’importanza che dava alla questione. Un episodio lo conferma ulteriormente, e definitivamente. Nel 1923, in occasione delle celebrazioni milanesi dell’anniversario della vittoria nella prima guerra mondiale, consigliò a Turati una partecipazione all’insegna di una concezione del Milite ignoto completamente differente da quella della propaganda nazionalista e patriottarda: «Pensavo anche se noi dovevamo lasciar passare il giorno del Milite ignoto senza fare nulla, lasciando altrui la brutta ipoteca bellicosa su un simbolo così sentimentale. Noi avremmo potuto richiamarci ad esso come a colui che morì “per la patria libera e per un mondo senza guerra”» 19. E ancora, scrivendo pochi giorni dopo allo stesso Turati: «Penserei di riunire il ricordo del Milite Ignoto anche a quello di tutti i nostri morti ignobilmente calpestati in questi giorni» 20.
Un’indicazione sostanzialmente ignorata dai socialisti milanesi, che tentarono ugualmente di partecipare alla manifestazione, venendo aggrediti da nazionalisti e fascisti. Nonostante ciò, Ezio Vigorelli, combattente nella prima guerra mondiale (e successivamente nella Resistenza, in cui perse i figli Bruno e Fofi) pubblicò sull’organo del Psu, “La Giustizia”, un articolo commemorativo dell’evento, che Matteotti criticò immediatamente, ribadendo, in poche, ferme righe a Turati, la sua concezione della Patria e del mondo, della pace e della guerra: «Si comprende l’esaltazione di una Difesa vittoriosa; ma non di una Vittoria che per un altro proletariato si risolve in una sconfitta e in una oppressione. Perciò io ti avevo sempre scritto nel senso della Patria libera e mondo senza guerre. Ma mai più oltre» 21.
Sono temi che rientreranno nell’ultimo discorso di Matteotti alla Camera il 30 maggio 1924, dieci giorni prima del suo omicidio. Continuamente interrotto dai deputati fascisti, così concludeva il suo intervento, ribadendo la sua concezione della Nazione, coerente con i suoi ideali e la sua vita:
Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. Noi deploriamo invece che si voglia dimostrare che solo il nostro popolo nel mondo non sa reggersi da sé e deve essere governato con la forza. Ma il nostro popolo stava risollevandosi ed educandosi, anche con l’opera nostra. Voi volete ricacciarci indietro. Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni
Note
- Enzo Fimiani, Un’idea di Matteotti. Un secolo dopo, Marietti1820, Bologna 2024, p. 49. Per una messa a punto sul riformismo di Matteotti cfr. Leonardo Rapone, Giacomo Matteotti, socialista e antifascista, “Studi storici”, luglio-settembre 2024, pp. 521-542.
- Lettere a Velia, a cura di Stefano Caretti, Nistri-Lischi, Pisa 1996, pp. 68-69. Su questo periodo della sua vita cfr., da ultimo, Federico Fornaro, Giacomo Matteotti. L’Italia migliore, Bollati Boringhieri, Torino 2024, pp. 39-59.
- Cfr. il testo del suo intervento (come di tutti gli altri testi citati in seguito) in Giacomo Matteotti, Socialismo e guerra, a cura di Stefano Caretti, Pisa University Press, Pisa 2013, pp. 75-76. Sui difficili rapporti di Matteotti con il suo ambiente d’origine cfr. Gianpaolo Romanato, Giacomo Matteotti. Un italiano diverso, Longanesi, Milano 2010.
- Giacomo Matteotti, Guerra di difesa, “La lotta”, 10 ottobre 1914.
- Giacomo Matteotti (gemma), Mussoliniana, ivi, 24 ottobre 1914.
- g.m., Socialismo e patria, ivi, 31 ottobre 1914.
- Giacomo Matteotti, Dal punto di vista del nostro partito, “Critica sociale”, 1-15 febbraio 1915, pp. 40-41.
- Ibidem.
- Ibidem.
- f.t., Postilla cumulativa, ivi, p. 44.
- Cfr la testimonianza del segretario della Camera del lavoro di Rovigo, Aldo Parini, La vita di Giacomo Matteotti, a cura di Marco Scavino e Valentino Zaghi, Minelliana, Rovigo 1998, pp. 79-80 e, più in generale, l’introduzione di Stefano Caretti a Giacomo Matteotti, Socialismo e guerra, cit.
- g., Scrupoli di coscienza, “La lotta”, 8 maggio 1915.
- Giacomo Matteotti, L’ultima vergogna, ivi, 21 maggio 1915
- Telegramma del Prefetto di Rovigo al Ministero degli interni cit. in Stefano Caretti, Introduzione a Giacomo Matteotti, Socialismo e guerra, cit., pp. 50-51. La condanna sarà confermata in Appello, ma nel luglio 1917 Matteotti sarà assolto in Cassazione.
- Cfr. l’ “Avanti!”, 21 marzo 1917.
- Piero Gobetti, Matteotti, “La Rivoluzione liberale”, 1 luglio 1924, ora nell’omonimo volume a cura di Paolo Bagnoli, Biblion Edizioni, Milano 2023.
- Giacomo Matteotti, Il fallimento della pace vittoriosa, “Avanti!”, 6 marzo 1920; cfr. anche La revisione di Versailles secondo J.M. Keynes, ivi, 12 febbraio 1922.
- Direttive del Partito socialista unitario italiano, Biblioteca di Propaganda de “La Giustizia”, Milano 1923, pp. 14-19.
- Lettera a Turati del 20 ottobre 1923 in Giacomo Matteotti, Epistolario 1904-1924, a cura di Stefano Caretti, Plus, Pisa 2012, p. 179.
- Ivi, p. 190.
- Ivi, p. 184.