Progetto: Matteotti e gli altri
Podcast: Rivoluzionari
Calssificazione: Contenuti adatti a tutti
Stagione: 3
Numero dell’episodio: 11
Tipo di episodio : Completo
Episodio 1 | Episodio 2 | Episodio 3 | Episodio 4 | Episodio 5 | Episodio 6 | Episodio 7 | Episodio 8 | Episodio 9 | Episodio 10 | Episodio 11 | Episodio 12
Podcast realizzato da FIAP con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione Anniversari Nazionali ed eventi sportivi nazionali ed internazionali. Scritto dallo storico Luigi Giorgi, sceneggiato da Alina Binaghi, Donatella Fiorella e Andrea Ricciardi; narrato da Edoardo Mininni, Vittorio Tosi, Donatella Fiorella, Laura Graziano; con la produzione di Gabriele Beretta.
Luigi Giorgi
Giacomo Matteotti e i cattolici
Giacomo Matteotti ha vissuto il suo rapporto con il cattolicesimo, sia esso politico che espressione della fede personale, secondo i canoni propri dell’epoca in cui esperì la propria stagione di impegno nelle istituzioni. L’ attenzione al cattolicesimo anche nella fase che questo espresse a livello organizzativo (le Leghe, i Sindacati, il seguente Partito popolare di Sturzo) fu impostato, essenzialmente, secondo il motto cavouriano di “libera Chiesa in libero Stato” scontando, allo stesso tempo, le tensioni proprie dell’acceso confronto fra socialisti e cattolici che incrociò, all’inizio del Ventesimo secolo, la richiesta di una rinnovata stagione di mobilitazione e partecipazione popolare.
Era presente in lui, comunque, un sentimento anticlericale, comune a buona parte del movimento socialista. Scriveva infatti su La Lotta, il 10 giugno 1911, biasimando le parole di “dolore” che il papa aveva espresso durante l’inaugurazione in Campidoglio del monumento all’Italia redenta e libera: «Che il dolore del Papa e il lutto della Santa Sede non facciano né caldo né freddo all’Italia nessuno lo nega; ma che non sia estremamente biasimevole che il Vaticano possa impunemente protestare contro l’Italia festeggiante il suo riscatto, certo nessuno potrà del pari negare».1
Sull’ Avanti! dell’agosto 1919 aveva inoltre indicato criticamente il duetto siciliano, così lo definì, Sturzo – Giuseppe De Felice (il primo era al tempo segretario politico del Ppi, il secondo socialista) rispetto al problema delle domande di aumento di impiegati e maestri per cui sui giornali apparvero i resoconti dell’Associazione dei Comuni con le posizioni dei due indicati: «e concorsero le promesse ministeriali di apertura di crediti, assunzione di spese dei maestri, e concessioni di addizionali daziarie»2 . Una polemica con la quale considerava i comuni siciliani (da dove viene la coppia Sturzo-De Felice, scriveva) come un esempio malandato di riscossione dei tributi.
Stessi toni si trovavano rispetto all’opposizione di quello che allora veniva definito Partito clericale (nonostante, siamo nel gennaio 1921, avesse assunto il nome di popolare) rispetto alle politiche, soprattutto tributarie, messe in atto, o ipotizzate, dalle amministrazioni comunali: «Non conosco nessun Partito che riunisca in sé tanta sfacciataggine, doppiezza e abitudine al falso, quanto il partito clericale»3 , scriveva su La Lotta nel gennaio 1921. In un passaggio del testo accusava anche l’on. Merlin (con cui coltivò un rapporto di rispetto reciproco) di «ignoranza amministrativa»4 . Nello stesso anno polemizzò sempre con Sturzo presentando una proposta di legge sull’ Ordinamento delle imposte comunali.5 Nell’ottobre del 1921, il 22 per la precisione, in occasione del Congresso nazionale del Partito popolare a Venezia raccontava alla moglie Velia: «Arrivato a Venezia assisto alle sedute del Congresso clericale. Strette di mano a molti preti (compreso Don Sturzo) e mezzi preti e grande movimento di meraviglia. Ma io sono qui come…giornalista nei banchi della stampa, e quindi sono in perfetta regola. Del resto la cosa è molto interessante. Ti racconterò poi in dettaglio […] Ritorno subito alla seduta serale del Congr[esso]. Questa gente vuole impadronirsi di tutta Italia!»6 .
Matteotti seppe però mantenere, nonostante le differenze, rapporti di amicizia con esponenti popolari della sua terra, primo fra tutti Umberto Merlin, facendogli da scudo durante la colluttazione seguita ad un comizio a Lendinara. Merlin interverrà in Consiglio provinciale, a Rovigo, il 17 giugno 1924 per ricordarne la figura: «Proprio in quest’aula, ove la sua parola vivacemente polemica più volte risuonò e dove io ebbi con lui non poche discussioni spesso anche aspre, ma comunque sempre franche e leali, permettano i colleghi che io dica di Giacomo Matteotti parole di memoria, ricordo e commosso rimpianto»7
La serie di polemiche, anche forti, prima riportate, vanno inquadrate, come si è ricordato, nelle tensioni, in special modo alla fine del Primo conflitto mondiale, che ben presto sorsero fra il movimento socialista e quello cattolico nel momento in cui questo avanzava la propria proposta programmatica e politica attraverso il Partito popolare. Dopo la fine del primo conflitto mondiale, infatti, grazie all’opera di Luigi Sturzo i cattolici si organizzavano in politica, in modo autonomo, programmatico e laico (secondo la definizione di aconfessionalità).
Il 18 gennaio del 1919 presso l’hotel Santa Chiara in Roma veniva promulgato l’Appello ai liberi e forti, carta fondamentale di intenti e valori del Partito popolare italiano. Nella stessa occasione veniva diramato anche lo Statuto e il programma.
Sturzo intervenendo al primo congresso del Ppi tenutosi a Bologna nel giugno 1919, chiarì il motivo per cui pur richiamandosi ai valori cattolici il Partito non avesse voluto nominarsi, esplicitamente, come cattolico: «il cattolicismo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione»8 , disse. Per tale motivo si era inteso porsi direttamente sul terreno politico.
Nelle prime elezioni cui partecipò, svoltesi a suffragio universale maschile e con metodo proporzionale, il Partito popolare prese il 20, 5% dei voti pari a 100 deputati. Nella tornata elettorale del 1921 si confermò al 20,3% con 108 deputati. In occasione delle elezioni del 1924, le prime dopo la marcia su Roma e dopo l’insediamento del primo governo Mussolini, cui il Partito, con una decisione contrastata del gruppo parlamentare e senza l’assenso di Sturzo, decise di collaborare, la forza politica da questi creata registrò il 9% dei voti con 39 deputati.
Elezioni, quelle del 1924, contrassegnate dalla cosiddetta legge Acerbo, che determinava i due terzi dei seggi per la lista che avesse raggiunto il quorum minimo del 25%, e che,
secondo alcuni studiosi, aveva di fatto prodotto: «il suicidio della vecchia classe dirigente»9 .
C’erano già stati contatti dei popolari con Matteotti. Prima del suo rapimento ed omicidio, nel luglio del ’22 infatti Sturzo aveva incontrato Turati, Treves, Modigliani e lo stesso politico rodigino per valutare una possibile (fallita) collaborazione popolari – socialisti (sfumata per dissensi sia in casa socialista che cattolica) che desse una alternativa al governo Facta. Annoterà Sturzo anni dopo, nel 1954: «I contatti avuti con Matteotti nel biennio 1922-24 mi confermarono che tempra di uomo Egli fosse e perché a Lui fossero dirette le ire del regime»10 .
Le elezioni politiche del 1924
Le elezioni del 1924 furono contrassegnate dalle violenze e dalle intimidazioni fasciste. La lista nazionale, improntata da Mussolini ad hoc, secondo il nuovo sistema elettorale, registrò il 64,9%.
Le intimidazioni riguardarono tutte le forze, dai socialisti ai cattolici, nonché singoli cittadini e cittadine che avevano espresso forme di dissenso. Il mondo cattolico venne preso di mira sia negli esponenti popolari sia in quelli che facevano parte della rete associazionistica. Matteotti riportò tali episodi con grande acribia, denunciando tutta la serie di macro e micro-violenze che i fascisti avevano fatto su cose e persone. Una serie impressionante di brutalità e soprusi che resero il clima delle elezioni condizionato dalla furia fascista. Ad esempio, individuò quindici episodi, solo fra novembre e dicembre del 1922, nei quali, tra molti altri, erano stati coinvolti esponenti del mondo cattolico. Ne indichiamo uno fra questi: «Noale – In una spedizione punitiva i fascisti incendiano la casa dei Famengo, popolari, abbattono il bestiame, uccidono Natale Famengo e lo gettano sul letamaio della casa; […] feriscono con la rivoltella il parroco don Giovanni Giacomelli»11
«Ritengo opportuno comunicare alla S.V. Illustrissima e Reverendissima che il Santo Padre non è senza grave preoccupazione per le continue violenze che dagli aderenti al partito fascista si commettono in danno non solo di privati cittadini di diverso pensiero politico ma anche contro opere ed istituzioni cattoliche, che con la politica non hanno nulla a che fare»12 , così scriveva l’11 aprile 1924 il card. Gasparri, Segretario di Stato, al nunzio apostolico in Baviera mons. Pacelli. Lo sguardo si allungava anche oltre il momento elettorale, si legge infatti che l’auspicio del papa (Pio XI) affinché le violenze terminassero una volta ultimate le elezioni sembrava non corrispondere a quanto in effetti stava
accadendo, gettando sinistri presagi sul futuro: «le aggressioni ingiustificate continuano con un crescendo impressionante, e quel che è peggio restano quasi sempre impunite»13 .
Temi che Matteotti avrebbe toccato nella sua denuncia nella quale chiedeva di invalidare le elezioni.
Si leggeva sulla Civiltà Cattolica: «L’on. Matteotti, socialista unitario, affermò “che le elezioni non sono state valide in nessuna circoscrizione”. Urla dalla destra, battibecchi sui banchi dell’opposizione tra repubblicani e fascisti, accolgono l’affermazione. E l’oratore si incarica di esasperare ancor peggio gli avversari narrando casi di violenze elettorali»14 .
Il rapimento e l’omicidio: le reazioni
Il rapimento di Matteotti e il suo delitto mossero il Partito ad una coraggiosa denuncia, attraverso il quotidiano di riferimento “Il Popolo”, diretto da Giuseppe Donati che denuncerà il generale De Bono come Direttore generale della Pubblica sicurezza, evidenziando responsabilità del governo e del fascismo (per questo suo impegno sarà costretto anch’egli all’esilio).
Si poteva leggere sul giornale del 14 giugno 1924 come fosse chiaro che l’on. Matteotti fosse stato soppresso per l’esercizio del suo mandato politico e come il suo delitto ne richiamasse alla memoria degli altri non meno gravi e rimasti impuniti: «Due sole parole abbiamo da rivolgere ai custodi della legge: LUCE (sic) e GIUSTIZIA (sic), luce e giustizia su TUTTE (sic) le responsabilità. Non domandiamo questo – si badi – per dar soddisfazione ad una parte contro l’altra: LO DOMANDIAMO SEMPLICEMENTE PER L’ONORE D’ITALIA (sic)»15
Il quotidiano di Donati si schierava anche contro e oltre (come farà Il Domani d’Italia) la “prudenza” vaticana che si sostanziava nell’articolo con cui l’Osservatore Romano, il 25 giugno 1924, commentava l’intervento di Mussolini al Senato.
Il giornale della Santa Sede criticava, infatti, la campagna di stampa delle opposizioni per la questione morale, in quanto nella sua radicalità sembrava mettere in pericolo la nazione: «Si chiede – sempre nei limiti evidenti e incontrovertibili della realtà politica odierna – è possibile tutto ciò, lo si crede attuabile senza pericolo alcuno per la nazione? Che se pure gli uomini potessero rassegnarsi ad essere senz’altro travolti, si può pensare che vi si rassegni un partito fortemente organizzato e pronto a reagire? E se pure esso consegnasse le armi e si arrendesse, quale il responso delle urne? Non si aprirebbe forse il solito, fatale “salto nel buio”?»16 .
Alla riflessione del quotidiano vaticano replicò Il Domani d’Italia, espressione della sinistra popolare, la quale aveva in Francesco Luigi Ferrari il proprio leader (che firmò il pezzo uscito anonimo il 29 giugno) che per il suo impegno antifascista sarà anch’egli costretto all’esilio dove morirà. Scriveva quindi Ferrari: «Il dopo fascismo è il cammino ripreso della libertà. Nella libertà cesserà il terrore, si soffocherà la guerra civile che da tre anni tormenta tutti, riacquisterà la Patria prestigio e prosperità. Chiunque teme e chiede: “E dopo?” lo ripeterà sempre, per incapacità o per calcolo, soprattutto per insensibilità spirituale.17 »
Si poteva leggere su Il Popolo del 28 giugno un attesto di solidarietà e ricordo di Matteotti: «Molti di noi hanno scolpita nel cuore la sua immagine, sentono ancora echeggiare nelle orecchie la sua voce che arriva al cuore. Perché, pur non professando le nostre idee lo abbiamo avuto compagno buono e tenace in questa comune battaglia. Perché gli ideali che ci accomunano a Lui, sono ideali di bene e elevazione morale soprattutto»18 .
Scriveva sempre Sturzo, quasi un anno dopo (il 10 giugno 1925) da Londra, oramai in esilio, a Ivo Coccia come il suo stato gli pesasse ancor di più perché concomitante con il primo anniversario dell’assassinio politico del povero Matteotti, affermava: «La reazione trionfa sopra ogni qualsiasi speranza di libertà; e la pacificazione che s’invoca da parecchi, non ha altri significati che la brutale sottomissione ad una fazione macchiata di sangue»19 . Tali parole simboleggiavano come il cordoglio fosse ancora vivo e come questo avesse contribuito, anche a causa delle spinte vaticane, a scegliere di andare all’estero.
Nel novembre del 1926, con il Testo Unico della Legge di Pubblica Sicurezza, in seguito integrato nella sua capacità repressiva dal Codice Rocco, i partiti vennero sciolti così come le organizzazioni sindacali determinando la fine, ufficiale, della democrazia nel paese.
Note
- Elliomi, Il Vaticano insulta, “La Lotta”, a. XII, n. 23, 10 giugno 1911, in G. Matteotti, Scritti e discorsi vari, S. Caretti a cura di, Pisa University press 2014, p. 71.
- G. Matteotti, Stato, comuni ed impiegati, “Avanti!”, Milano, a. XXIII, n. 232, 22 agosto 1919, p.2, ora in Id., Scritti economici e finanziari, S. Caretti a cura di, Tomo I, Pisa University press 2009, p. 122.
- g.m., La lega dei comuni e l’impostura clericale, “La Lotta”, Rovigo, a. XXII, n. 3, 15 gennaio 1921, p. 3, ora in ivi, p. 316.
- Ibidem.
- Cfr. Atti parlamentari, Camera dei deputati, XXVI Legislatura 1921, ora in ivi, pp. 428-435.
- 6-G. Matteotti, Lettere a Velia, Nistri-Lischi Editori, Pisa 1986, p. 364-365.
- Citazione in Matteotti. Giugno 1924. Il grido della stampa cattolica, Quaderni della Biblioteca del seminario, quaderno 14, Rovigo 2023, p. 54.
- L. Sturzo, La costituzione la finalità e il funzionamento del Partito popolare italiano (Bologna 1919), in Id., I discorsi politici, Roma 1951, p. 13.
- G. Sabbatucci, La crisi dello Stato liberale, in Storia d’Italia, vol. 4, Guerre e fascismo, G. Sabbatucci e V. Vidotto a cura di, Editori Latera, Roma – Bari 1997, p. 149
- Citazione in Lettere a Velia, cit., n. p. 364.
- G. Matteotti, Un anno di dominazione fascista, in Id., Scritti sul fascismo, S. Caretti a cura di, Nistri-Lischi Editori, Pisa 1983, p. 182.
- Lettera in G. Sale, Fascismo e Vaticano prima della Conciliazione, Jaca Book, Milano 2007, p. 131.
- ibidem.
- Cose italiane, “Civiltà Cattolica”, II, 21 giugno 1924, p. 551, ora in A. Guasco, Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana all’alba del regime (1919-1925), Il Mulino, Bologna 2013, p. 252.
- Per l’onore d’Italia, “Il Popolo”, 14 giugno 1924.
- Per la giustizia, “L’Osservatore Romano”, 25 giugno 1924, in G. Grasso, I cattolici e l’Aventino, Edizioni Studium, Roma 1994, p. 31.
- F. L. Ferrari, Resistere!, “il Domani d’Italia”, 29 giugno 1924, in ivi, p. 33.
- “Il Popolo” per Matteotti, “Il Popolo”, 28 giugno 1924.
- Archivio Storico Istituto Luigi Sturzo, Archivio Ivo Coccia, b. 1 f. 3.