Progetto: Matteotti e gli altri
Podcast: Rivoluzionari
Calssificazione: Contenuti adatti a tutti
Stagione: 3
Numero dell’episodio: 4
Tipo di episodio : Completo
Episodio 1 | Episodio 2 | Episodio 3 | Episodio 4 | Episodio 5 | Episodio 6 | Episodio 7 | Episodio 8 | Episodio 9 | Episodio 10 | Episodio 11 | Episodio 12
Nel 1924, dopo la morte di Matteotti, Amendola fondò l’Unione Nazionale con l’obiettivo di unire le forze democratiche e liberali antifasciste, animando la secessione dell’Aventino.
Podcast realizzato da FIAP con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Struttura di Missione Anniversari Nazionali ed eventi sportivi nazionali ed internazionali. Scritto dalla storica Alina Binaghi, sceneggiato da Donatella Fiorella e Andrea Ricciardi; narrato da Edoardo Mininni, Vittorio Tosi, Donatella Fiorella e Dario di Stano; con la produzione di Gabriele Beretta.
Giacomo Matteotti e Giovanni Amendola
L’ascesa del fascismo
Fin dalle sue origini, il movimento fascista si caratterizzò per un diffuso ricorso alla violenza e per un aperto disprezzo della legalità: le cronache parlamentari dell’immediato dopoguerra offrono un’evidente testimonianza dei continui episodi di violenza squadrista – bastonature, devastazioni, omicidi – che avevano trovato terreno fertile nella debolezza dello Stato e nella frammentazione del movimento operaio durante il cosiddetto “biennio rosso”. Dopo la turbolenta esperienza dell’occupazione delle fabbriche nell’autunno del 1920 e in seguito alla consistente vittoria dei socialisti alle elezioni amministrative, infatti, le squadre di camicie nere avevano iniziato a imporre al governo le dimissioni di tali amministrazioni, per renderne impraticabile il funzionamento. Violenze, minacce, attacchi fascisti contro cooperative e camere del lavoro, occupazioni e atti sovversivi si susseguivano, generalmente senza alcun intervento da parte delle istituzioni governative, incapaci di garantire l’ordine pubblico e, anzi, spesso inclini a sostenere il blocco antisocialista.
Atto finale di tale strategia fu la tristemente nota Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, manifestazione eversiva organizzata dal Partito Nazionale Fascista con l’obiettivo – poi raggiunto – di attuare un colpo di Stato che favorisse l’ascesa di Benito Mussolini: il 29 ottobre il re Vittorio Emanuele III gli conferì l’incarico di presidente del Consiglio.
Destinato a consolidarsi in un lungo ventennio di dittatura, il regime fascista si rivelò subito estremamente autoritario, impegnato com’era nella soppressione delle libertà individuali e nella centralizzazione del potere nelle mani di un unico partito. Le istituzioni democratiche furono progressivamente svuotate dei loro poteri, la stampa fu strettamente controllata e censurata e la violenza divenne lo strumento ordinario di repressione sociale.
La definitiva affermazione del regime fu sancita dalle elezioni politiche del 1924: con la cosiddetta Legge Acerbo (dal nome del deputato che la redasse), votata nel luglio dell’anno precedente, si era stabilito un premio di maggioranza corrispondente a 2/3 dei seggi alla lista che avesse ottenuto il 25% dei voti. Ciò, in aggiunta a sempre più frequenti brogli, intimidazioni e violenze, portò alla schiacciante e inevitabile vittoria del “Listone” di Mussolini.
Giacomo Matteotti: il coraggio della verità
Giacomo Matteotti, protagonista del qui presentato podcast Matteotti e gli altri, è indubbiamente una se non la figura chiave dell’opposizione morale e politica a Mussolini e della difesa dei valori democratici e di giustizia sociale nel contesto di crescente autoritarismo.
Eletto per la prima volta deputato nel novembre 1919 e attivamente impegnato, durante il sopracitato biennio rosso, a dirigere le lotte bracciantili per il rinnovo dei patti agrari e a fronteggiare il nascente squadrismo padano, divenne ben presto un dirigente popolare inviso al radicalismo fascista, di cui il 31 gennaio 1921 denunciò per la prima volta alla Camera le violenze. In questa puntata del podcast – incentrata su Giacomo Matteotti e su un’altra ben nota personalità antifascista, Giovanni Amendola – si può ascoltare un estratto di tale discorso, qui riportato più compiutamente:
Oggi in Italia esiste una organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi, di bande armate, le quali dichiarano (hanno questo coraggio che io volentieri riconosco) dichiarano apertamente che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono, non appena avvenga o si pretesti che avvenga alcun fatto commesso dai lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata; ciò è incontrovertibile. Se sui singoli fatti, quelli che ho esposto e quelli che non ho esposti, quelli che la Camera conosce e quelli che non conosce, si può dubitare, questa esistenza di una organizzazione di bande armate, con simili precisi scopi dentro lo Stato italiano, è un fatto, sul quale nessuno può opporre contestazioni. Documenti ne sono i loro stessi giornali che si intitolano come una volta si intitolavano i giornaletti anarchici: “La fiamma”, “L’assalto”, ”Il pugnale” e così via; che portano articoli intitolati: «La parola è alle rivoltelle»; che dicono: «Noi arriveremo anche alla guerra civile». Tutto ciò è detto pubblicamente e pubblicamente risulta da atti, per i quali noi riconosciamo al fascismo il coraggio di esporsi, mentre perdura nella gran maggioranza della società capitalistica del Paese la ipocrisia di non apertamente sostenerlo, la ipocrisia di attribuire le violenze di questi giorni alle più stupide provocazioni socialiste!1
Nel marzo del seguente anno, inoltre, la Società editrice Avanti! diede alle stampe l’Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, testo con cui “Tempesta” – così Matteotti era soprannominato dai suoi compagni di partito – si era impegnato a denunciare le violenze perpetrate dallo squadrismo fascista ai danni di militanti e istituzioni socialiste tra i primi mesi del 1919 e il giugno del 1921. Riportiamo più approfonditamente qui alcune delle innumerevoli testimonianze che nella puntata del podcast sono solo state accennate:
A Portole e Stridone d’Istria […] nei giorni precedenti le elezioni, il contado viene percorso da squadre di fascisti che sparano all’impazzata. Diverse case vengono distrutte e molte biche di fieno sono incendiate. L’autorità di pubblica sicurezza vede e lascia fare.
A Frassineto Po squadre di fascisti non permettono riunioni di gruppi in cui si parli di elezioni, anzi a Frassineto Po l’ex Sindaco Moretti Mario, socialista, è ricercato. Venne da un camion di fascisti perquisita la casa e, non trovatolo, i fascisti si accontentarono di fracassare i vetri e sparare colpi di rivoltella, cosicché il Moretti fu costretto ad allontanarsi.
Ad Argenta […] Divisi in squadre guidate dai fascisti locali, sono entrati nelle case dei socialisti più noti. Molti sono stati obbligati ad alzarsi e poscia bastonati a sangue. Il Sindaco Zardi è costretto a firmare una dichiarazione nella quale si impegna ad abbandonare la carica2 .
Del febbraio 1924, invece, è la pubblicazione di Un anno di dominazione fascista, scritto politico stampato a Roma e distribuito in forma semiclandestina. Matteotti redasse una puntuale cronaca, giorno per giorno e paese per paese, di tutti gli abusi, le violenze, le intimidazioni compiute dalle camicie nere durante il primo anno del governo Mussolini. Incalcolabili sono le accuse rivolte al regime; in questo episodio del podcast se ne possono ascoltare alcune, mentre sul sito della Casa Museo Giacomo Matteotti è possibile consultare e scaricare gratuitamente l’intero dossier.
La costante e coraggiosa opera di denuncia dei soprusi fascisti da parte di Matteotti, tanto nei discorsi parlamentari quanto nelle sue pubblicazioni, culminò in quello che è considerato uno dei più drammatici, lucidi e incisivi atti di accusa contro il regime di Mussolini: l’intervento con cui il deputato socialista tacciò di invalidità la nuova Camera all’apertura della XXVII legislatura, nella seduta del 30 maggio 1924. Il discorso di Matteotti – riportato in parte nella puntata del podcast, ascoltabile anche nel film Il delitto Matteotti (Vancini, 1973) e scaricabile interamente dal sito della Fondazione Giacomo Matteotti ETS – scritto per essere pronunciato in una ventina di minuti, ma durato più di un’ora a causa delle interruzioni dei fascisti e del presidente della Camera Alfredo Rocco, costituì il punto più alto della sua battaglia politica e morale contro l’illegalità fascista e contro i brogli elettorali che avevano segnato le elezioni di quell’anno. Il repubblicano Fernando Schiavetti avrebbe ricordato in seguito lo svolgimento di quella seduta rievocando l’“inaudita” violenza della maggioranza e descrivendo la tensione di quel giorno in cui “vibrava un sentore di tragedia3 ”.
Di lì a poco, la tragedia si consumò davvero: il pomeriggio del 10 giugno, nei pressi del lungotevere Arnaldo da Brescia, Matteotti venne brutalmente aggredito e pugnalato a morte da un manipolo di sicari fascisti che lo pedinava da giorni. Gli assassini scaricarono e occultarono il cadavere nelle campagne romane, a circa 20 chilometri dalla capitale, nel bosco della Quartarella, vicino a Riano Flaminio. Il corpo fu poi ritrovato solo il 16 agosto.
Giovanni Amendola: il tentativo dell’Aventino
Come anticipato sopra, a dialogare con Giacomo Matteotti, in questo episodio del podcast, è Giovanni Amendola, un’altra figura di fondamentale rilievo nella lotta contro il regime di Mussolini. Volontario decorato nella Prima guerra mondiale, giornalista e uomo politico democratico, a partire dal secondo dopoguerra Amendola conobbe quella che Alfredo Capone definisce una
sfortuna storiografica […] da individuare principalmente nel fatto che il suo modello di democrazia si ispira a una cultura civile in gran parte estranea alla tradizione dell’Italia moderna e contemporanea che per lo più ha privilegiato l’uso politico della religione, le religioni della politica, il culto del capo e i populismi di varia colorazione ideologica4 .
Di conseguenza, nonostante il modello di democrazia amendoliano abbia costituito una componente rilevante nel passaggio dallo Stato liberale prefascista a quello democratico e costituzionale repubblicano, gran parte delle correnti storiografiche ha riconosciuto l’altezza morale dell’uomo, senza però apprezzare appieno il valore politico del suo antifascismo. Ne sono testimonianza le confuse e rapsodiche pubblicazioni con cui negli anni Cinquanta sono stati editi i suoi articoli de “Il Mondo” – quotidiano indipendente nato nel 1922 su iniziativa di Giovanni Amendola, Giovanni Ciraolo e Andrea Torre – e i discorsi politici che, nonostante la sua iniziale esitazione, costituiscono oggi una fondamentale testimonianza dell’opposizione di Amendola e fra i più rilevanti testi dell’antifascismo italiano.
Con questa puntata del podcast si intende proprio recuperare, approfondire e valorizzare il pensiero politico amendoliano, indagandolo nelle sue molteplici sfaccettature e iniziali, ingenue, posizioni.
In un primo momento, infatti, in un discorso alla Camera del 23 luglio 1921 – poi rievocato con il pentito senno del poi durante l’approvazione del disegno di legge Acerbo nel 1923 –, Amendola aveva giudicato possibile incanalare il movimento fascista nello Stato liberale:
Mi proponevo fin d’allora […] il problema della eventuale partecipazione al governo della estrema destra fascista, e concludevo col non escludere tale partecipazione, mettendo peraltro in rilievo che, fin da quel momento, si imponeva al fascismo di assumere un punto di vista chiaro e soddisfacente nei riguardi delle forze armate che se non dipendevano dallo Stato non potevano che essere contro lo Stato. Nel seguito, allorché il problema della partecipazione dei fascisti al Governo si è presentato come possibilità concreta, non ho mancato di agire, per quanto spettava alle mie possibilità, affinché questa partecipazione si potesse verificare per le vie legali. Rimasi contrario, assolutamente contrario, alla manomissione illegalistica dei poteri dello Stato da parte del Partito fascista5 .
L’anno seguente, poco prima della famigerata Marcia su Roma, Amendola tenne un discorso a Sala Consilina, riportato in parte nella puntata del podcast, in cui il fascismo veniva presentato come un “legittimo successore” del socialismo, volto a un’auspicabile democratizzazione del Paese:
Così il fascismo non si affermava soltanto come l’avversario del socialismo, ma ne diventava, in pari tempo, il successore. […] Se non vogliamo che il nostro giudizio resti superiore alle correnti delle opposte passioni dobbiamo, infine, riconoscere che il “fatto” fascismo accompagna una salda e radicale restaurazione della coscienza nazionale. […] Venga, adunque, il fascismo nel campo delle nostre lotte civili, ma venga armato di idee costruttive, se ne possiede, e di metodi civili6 .
Fu solo dopo i fatti dell’ottobre 1922 che Amendola passò alla più intransigente e ferma opposizione del fascismo. L’aperto dissenso nei confronti dell’insediamento del governo Mussolini, dell’istituzione del Gran Consiglio del Fascismo, della riforma elettorale Acerbo e del generale clima di violenze, intimidazioni e soppressione di ogni libertà democratica si tradusse in un suo lucido e, questa volta, lungimirante intervento sulle colonne de “Il Mondo”:
Veramente la caratteristica più saliente del moto fascista rimarrà, per coloro che lo studieranno in futuro, lo spirito «totalitario»; il quale non consente all’avvenire di avere albe che non saranno salutate col gesto romano, come non consente al presente dì nutrire anime che non siano piegate nella confessione: «credo». Questa singolare «guerra di religione» che da oltre un anno imperversa in Italia non vi offre una fede (che a voler chiamar fede quella nell’Italia, possiamo rispondere che noi l’avevamo già da tempo quando molti dei suoi attuali banditori non l’avevano ancora scoperta!) ma in compenso vi nega il diritto di avere una coscienza – la vostra e non l’altrui – vi preclude con una plumbea ipoteca l’avvenire7 .
Come si può ascoltare nella puntata del podcast, tali posizioni critiche verso Mussolini gli costarono frequenti intimidazioni e attacchi, sfociati poi nell’aggressione fisica del 26 dicembre 1923, quando Amendola fu bastonato da quattro fascisti e ferito alla testa.
Deciso a proseguire nella sua opera di condanna del regime, nell’aprile del 1924 si candidò alla Camera nella circoscrizione della Campania e fu rieletto deputato. Nel mese successivo fondò l’Unione meridionale, trasformata in Unione Nazionale nel novembre dello stesso anno, con l’obiettivo di unire le forze democratiche e liberali antifasciste.
Dopo il brutale omicidio di Matteotti, infine, Amendola si rese ispiratore del più coraggioso e sfrontato atto di protesta contro il governo di Mussolini, coalizzando le opposizioni in quella che passò alla storia come la “Secessione dell’Aventino”, un’alleanza parlamentare antifascista che richiamava nel nome l’episodio di storia romana del 494 a.C., quando i rappresentanti della plebe si ritirarono sul colle Aventino per esprimere la loro protesta contro i patrizi. Annunciò che non avrebbe partecipato alle attività parlamentari fino a quando non fosse stata ripristinata la legalità e, insieme al socialista Filippo Turati, Amendola promosse una linea di opposizione non violenta al governo – a differenza dei comunisti favorevoli a tentativi insurrezionali –, confidando invano in un intervento del re Vittorio Emanuele III che destituisse Mussolini e ripristinasse la legalità democratica.
La Secessione dell’Aventino, pur essendo stato un gesto di grande valore simbolico nella lotta fra democrazia e dittatura, si rivelò alla fine inefficace sul piano pratico. Senza un disegno politico chiaro e senza il sostegno delle istituzioni, l’opposizione si frammentò, la repressione fascista si intensificò e molti dei leader dell’opposizione furono vittime di violenze o costretti all’esilio. Lo stesso Amendola – che in quel periodo continuò la sua opera di denuncia proponendo a Benedetto Croce di scrivere un manifesto che riunisse le maggiori intelligenze antiregime, iniziativa poi concretizzatasi nel Manifesto degli intellettuali antifascisti – subì l’ennesima aggressione, il 19 luglio 1925, a Montecatini, per le cui complicazioni si sarebbe poi spento a Cannes, in Francia, il 7 aprile 1926.
Pochi giorni prima dell’aggressione, in un suo intervento al Congresso dell’Unione nazionale, aveva così affermato: “Occorre il lavoro di molte vite, a fondo perduto, per gettare le solide fondamenta dell’Italia di domani. Noi doniamo quello di cui siamo capaci: senza calcolo e senza rimpianto”8 .
Note
- Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXV, 1A sessione, Discussioni, tornata del 31 gennaio 1921. Cfr. Giacomo Matteotti, Contro ogni forma di violenza, a cura di Davide Grippa, Milano, Einaudi, 2024.
Inchiesta socialista sulle gesta dei fascisti in Italia, a cura di Paolo Mencarelli, Milano, Biblion Edizioni, 2019, pp. 82, 204-205, 256.
Claudia Baldoli, Luigi Petrella, Aventino: storia di un’opposizione al regime, Roma, Carocci, 2024, p. 58.
Alfredo Capone, Giovanni Amendola. Il padre fondatore della democrazia liberale antifascista, Roma, Salerno Editrice, 2019, pp. 10-11.
Ivi, p. 237.
Ivi, pp. 255-256.
Giovanni Amendola, Un anno dopo, “Il Mondo”, 2 novembre 1923.
Giovanni Amendola, La Nuova democrazia, Napoli, Ricciardi, 1951, p. 248.